A ME M’HA ROVINATO LA GUERA

“A ME M’HA ROVINATO LA GUERA”
di Arianna Gambaccini e Michele Cipriani

“A me m’ha rovinato la guera” è la storia del viaggio di un uomo, di un padre e di un attore che, vede sfumare il sogno di essere artista. È la storia del “compare di anello” di Pietro de Vico, del volontario della guerra in Spagna, dell’amorazzo (narra la leggenda) di Pupella Maggio, del Tenore Mario Ceprani (nome d’arte) che ha abdicato all’uomo Michele Cipriani. La storia di una tuba e un frac che hanno ormai cento anni, e che , arrivati al nipote (Michele anch’esso, attore anch’esso), sostano per un’altra guerra, dentro un armadio.”

Mi chiamo Michele Cipriani, come mio nonno. Qualcuno dice che nel nostro nome c’è il nostro destino, non so se è vero. Quel che so è che ci sono tre cose che mi legano al mio progenitore: la professione, il nome (anche se lui si faceva chiamare “Mario Ceprani in scena) e in qualche modo la guerra. Mio nonno è stato un valente attore di avanspettacolo fra gli anni 30 e 40 del secolo scorso. Nato nel 1909 a San Severo, all’età dei sedici anni scappò da casa per andare a Napoli a studiare canto. Fu scritturato dalla Compagnia di Rivista del Capocomico Artruro Vetrani, Compagnia in cui si trovò a condividere il palco con giovani artisti come lui. Fra questi i fratelli Maggio: Dante, Beniamino, Rosalia e Pupella, e Pietro de Vico di cui divenne grande amico e futuro “compare di anello”. Nella Compagnia mio nonno svolgeva il ruolo di attore brillante e cantante fine dicitore, soprattutto di sceneggiate. Cominciava a farsi un nome: si esibiva nei più importanti teatri del Meridione e lavorava ormai con diverse Compagnie, quando nel 1940 l’Italia entrò in guerra. Trasferitosi prima del conflitto a Taranto, fu convinto dal Maresciallo dei Vigili del Fuoco della città, suo ammiratore, ad arruolarsi nei pompieri per evitare di andare al fronte ( aveva già partecipato alla guerra civile in Spagna) . Non so quanto fosse consapevole in quel momento che la sua carriera si sarebbe interrotta lì, ma è così che andò: finita la guerra, con cinque figli ed una moglie stanca di seguirlo per tutta l’Italia decise di rimanere definitivamente nei Vigili del Fuoco. La sua carriera si chiuse nel 1944, con uno spettacolo interrotto per i bombardamenti.

Fu messo in “quarantena” come è accaduto a tutti , nel 2020. Questo è il terzo punto di contatto delle nostre storie: la sospensione in cui si sono ritrovate le nostre vite. Nel nostro mestiere siamo abituati a combattere per sopravvivere alla penuria di lavoro. Ma un bombardamento, che venga dall’alto o da una piccola particella nel nostro respiro, come lo combatti? Cosa può l’arte contro qualcosa di immensamente grande o di immensamente piccolo che si abbatte su di noi? Dove finisce la bellezza quando l’arte è in quarantena, quando i teatri sono chiusi? Al di là delle condizioni materiali, di cosa può nutrirsi un attore quando le contingenze della vita gli tolgono quello di cui ha più bisogno: il pubblico? Come si riorganizza l’anima di fronte a questa interruzione improvvisa? Chi sono io senza te che mi guardi? Chi siamo noi tutti senza gli altri?

In un momento storico in cui la globalizzazione è riuscita a standardizzare i prodotti e a farcene fruire nello stesso momento in tutto il mondo, in cui l’oblò della nostra tecnologia è diventato finestra sull’altro, siamo riusciti a fare a meno, a poco a poco, della tangibilità , della stretta di mano come promessa, dello sguardo altrui. Eppure l’altro mi è compagno, il suo dire mi definisce, la sua mano mi sorregge, mi schiaffeggia, mi ricorda che non sono solo. L’importanza della “presenza” è la storia che vogliamo raccontare, di una presenza umana, tangibile, di una presenza di spirito che, in quegli anni per esempio, aiutò l’Italia ad essere ricostruita. Un comico è tale perché c’è qualcuno che ride, un medico perché c’è qualcuno da curare: l’altro. Riportare l’altro nel giusto ruolo rispetto a noi, riportare il pubblico nel ruolo centrale che ha nella vita dell’attore. Questa è la strategia che forse alla fine di questa esperienza pandemica noi come artisti cerchiamo di seguire e che in questo “monologo a più voci” cerchiamo di proporre.

Questo spettacolo è il racconto delle vite, per certi versi parallele, di due artisti alle prese con due guerre diverse accomunate dallo stesso “trauma”: il vuoto .
“A me m’ha rovinato la guera” è un omaggio ad un mondo, quello dell’avanspettacolo, che ha saputo trasformare la sofferenza e la fame in una risata collettiva, popolare e liberatoria, un racconto che parla della fame dell’attore, del colera da palco e dell’universale bisogno degli altri; di come, per fare una vita dei nostri nonni, ce ne vorrebbero tre delle nostre e di quanto, ridere , abbia aiutato a sfamare e a ricostruire una nazione intera.



ELENCO DI PARTNER DEL PROGETTO

  • Raffaella Ronchi Nata a Bari. Ha intrapreso lo studio del pianoforte sin da piccola, diplomandosi nell’86 presso il Conservatorio di Musica “N. Piccinni” di Bari e proseguendo i suoi studi con la Prof.ssa Enza Sicari. E’, inoltre, diplomata in Didattica della Musica presso il Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze ed ha studiato composizione col M° Marco Di Bari.
    Ha registrato musiche di Schumann e Petrassi presso gli studi della RAI radio 2, e per la “Progetto Suono” ha registrato come solista musiche di: Hindemith, Webern, Honegger, Messiaen e Di Bari.
    E’ dal 1991 Presidente dell’Associazione Musicale “DIAPASON” a Cellamare (Ba).
    Dal 2005 è Direttore Artistico del festival di musica contemporanea URTIcanti a Bari.
    E’ docente di Pianoforte complementare presso il Conservatorio di musica.
  • Michele Santeramo autore e narratore, vince nel 2011 il premio Riccione per il Teatro con il testo Il Guaritore. Nel 2012 scrive e produce con teatro minimo Storia d’amore e di calcio. Del 2013 è il testo La prima cena. Vince nel 2013 il Premio Associazione Nazionale Critici di Teatro (ANCT). Pubblica il romanzo La rivincita edito da Baldini e Castoldi di cui firma anche la sceneggiatura per il film Rai omonimo. Scrive nel 2014 Alla Luce per la regia di Roberto Bacci e la produzione di Fondazione Pontedera Teatro. Vince nel 2014 il premio Hystrio alla drammaturgia. I suoi testi sono rappresentati in tutto il mondo

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