CANTICO DI QUALI CREATURE

RESIDENZA 2019 >

Domenico Luca

C’è una sorta di malcelata compiacenza nel ‘Cantico delle Creature’ di San Francesco. Forse. Una malcelata compiacenza che riguarda l’uomo in quanto perfetto compimento del creato e che in quanto tale è unica creatura capace di osannarlo e lodarlo.
Alle elementari ci rimasi male. Mancavano quelle creature umane che mi sarei aspettato osannate in fiumi di pagine. Ancora adesso sono alle elementari.
Questo lavoro è anche frutto di quella disillusione.
La residenza in corso approfondisce un’autobiografia onirica e non, d’infanzia anche prima, d’adolescente, fatta di continui incontri fortuiti e forzati, e ripetuti, in case di cura, ospizi, centri di ‘igiene’ mentale.
Poi c’è l’incontro con la morte, avvenuto molto presto. Quando dico morte non intendo la generica morte del nonno. Intendo il rito, il rosario sociale che compi disinteressato, del prendersi cura di un corpo morto. Di qualsiasi corpo capiti. Un rito sacro, si direbbe. E ripetuto pure quello. E proprio la ripetizione mi ha portato ad avere premature convinzioni riguardo alla morte, e quando mi guardavo intorno vedevo rare -anche solo- impressioni formate al riguardo.
Nel nucleo originario chiamato famiglia da cui provengo, ci si guadagna il pane con questo materiale. Se uso la parola forzato non è un caso.
Questo lavoro nasce anche da questa illusione. Di saperne qualcosa a riguardo, o riguardo gli incontri fatti. O riguardo la morte.
E c’è una storia in particolare usata come cornice. Che non incornicia o delimita e basta, ma intesse anche direi. La storia di una vita spezzata prematuramente. Non è una prospettiva. Da questa storia, rispettandola, mi sembrava giusto partire per un cantico, per auscultare, con pazienza, tanta pazienza, la materia umana ingarbugliata e complessa che non solo c’era all’interno della sua famiglia, ma anche quella che mi è passata davanti, con gentilezza, disincantata, esposta nuda al mio sguardo e al mio farfugliare. Un farfugliare ancora più esposto della cosiddetta fragilità del pazzo, del folle. Al solo contatto, che dico, sfiorarsi, il mio farfugliare bruciava.
Da quest’altro sentire nasce questo lavoro.
Mediare non si deve, oltre ad essere materia impossibile.