La stanza di Agnese

 

Compagnia: Meridiani perduti
Referente: Daniele Guarini
Periodo: 12-19 novembre
Polo TRAC: Taranto (spazio off)
Tipologia di residenza: Bando nuova drammaturgia e innovazione
Giorni di residenza: 8


Se l’attenzione alla Storia è caratteristica dominante della produzione di Meridiani perduti, lo è ancor più l’attenzione alle singole esistenze e alla ripercussione dei macroeventi sui territori e sulle microstorie. 

Revolution e Torno subito guardano alle ricadute sul territorio brindisino determinate dall’industrializzazione del Mezzogiorno e dagli sviluppi della Seconda guerra mondiale. Stoc ddo punta lo sguardo sulla mamma di un ragazzo vittima di mafia all’epoca del radicamento delle mafie nella città di Bari, in particolare nel suo centro storico.

La stanza di Agnese punta lo sguardo sul trentesimo anniversario della strage di via D’Amelio, già momento decisivo per la coscienza della nazione, ma cade anche nel contesto di una pandemia che sta cambiando regole e sentire comune.
In che modo quella strage e le vicende successive rivivono nella coscienza di una persona semplice, all’epoca vicina alla famiglia Borsellino, che anche oggi assiste a una situazione di smarrimento per le nostre coscienze?

La stanza di Agnese

Delusa da una Palermo rassegnata e apatica, Giuseppina ha lasciato la Sicilia. Con qualche difficoltà è riuscita a convincere anche sua madre, anziana e nota levatrice del quartiere, a venir via con lei. Giuseppina ha venduto casa e si è trasferita al nord, dalle parti di sua sorella, in Lombardia, dove ha continuato a svolgere con passione il proprio lavoro di infermiera. 

Dell’isola non le è rimasto molto, a parte le poche amiche con cui si sente ancora al telefono e una bambola, regalo di Agnese Borsellino di cui ha seguito la malattia e di cui ha potuto raccogliere le ultime confidenze. 

Il lavoro in quella casa l’ha segnata nel profondo. Qui ha potuto conoscere le vicende di una famiglia tanto ordinaria quanto particolare. Ha potuto intuire la frenesia di sotterfugi, trame e segreti che non hanno mollato la presa sui Borsellino, neanche dopo la morte del giudice Paolo. E, per la prima volta nella sua vita, ha avvertito la pressione di un potere tanto invisibile e spersonalizzante quanto asfissiante e cattivo.

Il trasferimento in Lombardia, però, non ha avuto l’effetto sperato. Con l’esplosione della pandemia, Giuseppina ha affrontato turni di lavoro massacranti, ha vissuto la disperazione di centinaia di persone abbandonate a sé stesse. E, soprattutto, ha assistito impotente all’allontanamento di sua madre, portata via in ambulanza e mai più tornata.

Ma è riuscita a resistere, a essere sé stessa, aggrappandosi al sogno di Agnese. Non solo non lo ha dimenticato, ma lo ha anche realizzato. Giorno dopo giorno, la stanza della mamma è diventata la camera che Agnese avrebbe sempre desiderato nella propria abitazione di Villagrazia e che la malattia non le aveva permesso di realizzare: mura colorate di rosa, l’armadio di sua madre restaurato, un ombrellino per terra, la grande bambola di porcellana sull’armadio e tante, tante bambole per la stanza. La stanza delle bambole, l’avrebbe chiamata Agnese: “Tutti dovrebbero avere un sogno da realizzare e una stanza da sistemare secondo i desideri più intimi” ripeteva. “Se tutti ci impegnassimo a costruire la città dei nostri sogni, tutte le città sarebbero più belle”. 

Aveva imparato dall’amore della sua vita: “Palermo non mi piaceva” diceva Paolo, “per questo ho cominciato ad amarla. Perché bisogna amare ciò che non piace, per poi poterlo cambiare. Altrimenti finiremo sempre per aspettare gli altri. E la città non cambierà mai”.

 

 

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