VITA AMORE MORTE E RIVOLUZIONE

RESIDENZA > 2020
COMPAGNIA > Paola Di Mitri
POLO > Taranto


Vita Amore Morte e Rivoluzione
di e con Paola Di Mitri
regia teatrale Paola Di Mitri
regia cinematografica e montaggio Davide Crudetti (ZaLab)
riprese Davide Crudetti
in video Ida Palmisano, Cataldo Cantore
riprese handycam Paola Di Mitri
materiale d’archivio e super8 famiglia Di Mitri
memoria orale Ida Palmisano, Giovanna Vucci, Maria Rosaria Di Mitri

Menzione speciale della giuria Premio Dante Cappelletti 2020
Premio giuria popolare Premio Dante Cappelletti 2020
Vincitrice Bando A.n.T. 2020 Primavera Non Bussa


Vita Amore Morte e Rivoluzione è uno spettacolo di teatro documentario che intreccia la narrazione teatrale al linguaggio cinematografico. Lo spettacolo ripercorre il mio ritorno a Taranto, città paterna e d’infanzia, che porta alla luce una ferita personale che cerca di trovare risposta nel racconto di altre storie famigliari. Attraversando gli archivi di famiglia e con l’aiuto dei supporti digitali presenti sulla scena, insieme ad un gruppo di cittadini incontrati nella ricerca, si tenta di ricostruire una geografia emotiva, sensoriale, storica e urbanistica di Taranto; città pensata per essere volano del Sud, ma che da sempre non è che campo di battaglia operaio, sfruttamento della forza lavoro, disastro ambientale, emergenza sanitaria, simbolo di una situazione meridionale mai risolta.


Qualche mese prima di morire per un tumore ai polmoni mio padre mi ha detto: “Vedi, anche se scappi, Taranto ti ricorda sempre da dove vieni.” Ho tenuto in mente questa frase per anni nella mia testa, chiedendomi ripetutamente se ci fosse una relazione dimostrabile tra il tumore di mio padre e Taranto. Fino a quando, per una serie di eventi famigliari, mi sono trovata ad affrontare di petto quello che per lungo tempo mi aveva turbato segretamente. E’ successo l’anno scorso, quando mia nonna, la mamma di mio padre, di 92 anni ha deciso spontaneamente di lasciare la sua casa di sempre e di aspettare la fine dei suoi giorni in una casa di cura. Dopo aver lasciato la clinica, scelto la stanza, ha deciso che se c’era una persona che doveva aiutarla in questo passaggio, quella persona dovevo essere io. Sono partita con la macchina da Torino e sono arrivata a Taranto, quando ho aperto la porta del suo appartamento mi sono sentita smarrita, senza una mappa in cui orientarmi. Ho acceso la telecamera e ho iniziato a filmare la casa e i suoi oggetti e a ricostruire una mappa famigliare ed emotiva. In uno scaffale tra le vecchie cassette ce n’era una con scritto: Paola, Taranto 1986. Nell’86 avevo 2 anni. Nel filmino c’è anche mio padre; Si è fatto prestare la telecamera per non perdere la memoria di come ero da piccola. Il nastro magnetico si è rovinato con il tempo, a volte i frame sono quasi illeggibili, ci sono buchi di linee grigie e penso che assomigliano ai miei ricordi.  So molto poco di quello che lega la mia famiglia a Taranto, so che mio nonno era operaio macchinista all’Arsenale Militare e che a un certo punto è morto, che mia nonna aveva aperto nel pieno del boom economico il primo negozio di Taranto che vendeva plastica, e che mio padre aveva lasciato la città dopo aver militato per qualche anno da studente nelle frange di sinistra che distribuivano fuori dai cancelli dell’ex-Ilva volantini agli operai. “Taranto è una città che cancella i ricordi”. Lo penso mentre guardo le immagini di me da piccola che fanno intravedere una città che oggi non c’è più. Lo penso mentre mia cugina mi racconta che al suo matrimonio non ha voluto scattare le foto per non trovarsi a contare quanti suoi amici sarebbero morti nel frattempo. Poi un giorno, per caso, ho incontrato Cataldo, cassaintegrato ex-Ilva. Ci teneva a farmi vedere la Chiesa del Gesù Divino Lavoratore nel quartiere Tamburi a ridosso delle ciminiere. – Non ci sei mai stata? Ma che tarantina sei? Tuo padre era di Taranto, no? E allora sei tarantina pure tu, vieni. Quando sono entrata ho capito che non era la chiesa che voleva farmi vedere, ma il mosaico sopra all’altare: al centro, in piedi sul Ponte Punta Penna, un Cristo, alla sua destra una nave cargo, alla sua sinistra le ciminiere della fabbrica, ai suoi piedi un marinaio, un’industriale, una casalinga, un muratore, un operaio delle acciaierie, un operaio dell’arsenale e un pescatore. – Volevi vedere Taranto? Questa è Taranto. Il terzo in basso a destra sono io. Mi ci hanno fatto pure a me là dentro così mi ricordo chi sono.  L’incontro con Cataldo è stato importante per capire che se volevo rispondere alla mia domanda e ricostruire una cartografia storica e emozionale della mia famiglia forse dovevo trovare una soluzione alla mancanza di mio padre, alla mancanza di mio nonno, alla memoria di mia nonna, a quell’ombra che da sempre avvolge e soffoca Taranto. Dopo Cataldo ho capito che la città era disposta a parlarmi. “Può la collettività diventare una presenza nell’assenza?” Questa è stata la vera domanda che ha mosso questa ricerca.

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